La giornalista Maria Teresa Cometto e il venture capitalist Alessandro Piol da anni vivono negli Stati Uniti.
In questi giorni sono in Italia per presentare il loro libro Tech and the City-Start up a New York. Un modello per l’Italia, edito da Guerini e Associati, dove raccontano la nascita a New York della Silicon Alley, uno dei poli tecnologici americani più dinamici. I due autori attraverso l’intervista a 50 protagonisti della scena tecnologica newyorkese ricostruiscono quanto accaduto nella Grande Mela e mettono in evidenza l’importanza dell’esistenza di un ecosistema favorevole alla nascita e allo sviluppo delle start up. Abbiamo sentito Cometto e Piol per fare il punto su quali siano gli aspetti culturali indispensabili affinché anche l’Italia possa sperare in uno sviluppo economico trainato dall’innovazione tecnologica.
Anche in Italia finalmente si sta incominciando a parlare di start up. Con il varo del decreto sviluppo firmato da Corrado Passera il termine è stato utilizzato per la prima volta in una norma. Nel vostro libro affermate però che il ruolo delle istituzioni da solo non basta ma che è fondamentale costruire anche un contesto culturale favorevole. Tra i diversi aspetti esistenti negli Stati Uniti quale è quello che maggiormente manca nel nostro Paese?
Cometto:” Sicuramente un atteggiamento non negativo nei confronti del fallimento. In Italia esso è temuto non solo per le conseguenze giuridiche ma anche per quelle sociali e questo spesso crea una avversione al rischio. Anche in America è visto come una esperienza dolorosa ma allo stesso tempo viene percepito come una occasione per imparare. Nella cultura è molto profonda l’idea che se cadi hai sempre la possibilità di rialzarti e di ripartire. Faccio un esempio concreto che aiuta a capire questo aspetto. Uno dei 5 requisiti richiesti per poter dirigere una sezione di Tech Stars, uno degli incubatori più famosi che ci sono negli Usa, è aver avuto almeno un fallimento”.
Piol: “Anche l’esperienza della bolla della new economy della fine degli anni ’90 è molto esemplificativa. Molti degli attuali protagonisti della scena tecnologica americana sono proprio imprenditori che hanno avuto un crack con lo scoppio della bolla. Quella esperienza ha avuto molte conseguenze negative, soprattutto sul fronte finanziario, ma è servita a molti imprenditori per capire l’importanza del timing giusto nel lancio dei nuovi servizi o prodotti e questo, oggi, ha reso possibile uno sviluppo più maturo delle nuove tecnologie”.
Tra i vari aspetti culturali da voi citati nel libro c’è quello del mentoring. È un fenomeno poco diffuso in Italia. Di cosa si tratta?
Cometto: “Il mentoring è la disponibilità da parte di businessman affermati di mettersi a disposizione degli aspiranti o giovani imprenditori per assisterli nel loro processo di crescita. È un aspetto legato alla cultura del give back molto diffusa negli Stati Uniti, ovvero del restituire alla comunità parte della fortuna che si è avuta nella propria vita. Ovviamente i campi in cui questa pratica si manifesta sono diversi ma il comun denominatore è quello di mettersi a disposizione della propria comunità”.
Piol: ”Uno dei campi in cui il give back trova maggiore applicazione è quello dell’educazione. Gli Stati Uniti sono consapevoli che il loro sistema formativo non è più competitivo rispetto a quello cinese o indiano. Molte iniziative per superare il gap sono promosse proprio da businessman di successo che finanziano la creazione di nuovi istituti superiori o universitari. Un esempio rilevante è la creazione a New York di un campus tecnologico, il Cornell NYC Tech, che ha raccolto ben 2 miliardi di dollari di autofinanziamento.
Cometto: “Aggiungo che al Cornell il mentoring avrà un ruolo importante anche nella didattica. I corsi non saranno solamente scientifici. Ogni studente avrà un mentore dell’industria con cui fare progetti di lavoro e di business per imparare ad applicare la ricerca alla produzione di un bene o un servizio”.
Dottor Piol nella sua lunga attività di venture capitalist lei hai conosciuto tantissimi imprenditori. A suo avviso quali sono gli aspetti cruciali per aspirare ad avere successo?
Piol: “Sicuramente la determinazione e la passione. Questi due aspetti però da soli non bastano. Bisogna anche conoscere bene il business su cui si vuole puntare. Le proposte migliori spesso arrivano da persone che hanno già avuto esperienze sul campo e si presentano da me con idee per migliorare o innovare il business. A tutti, sia aspiranti imprenditori che aspiranti venture capitalist, suggerisco poi di lavorare con delle start up. È il modo migliore per imparare a conoscere le sfide e i problemi che si devono affrontare nel lancio di una nuova iniziativa imprenditoriale”.
Come ci vedono gli americani in questo momento. Cosa pensano della nostra situazione politica?
Piol: “Politicamente avevamo perso credibilità con Berlusconi. Con il governo Monti le cose sono migliorate ma ora quello che viene percepito è inevitabilmente una situazione di confusione e c’è attesa per capire cosa succederà”.
Cometto:” Per loro siamo folcloristici però è anche vero che c’è molto interesse verso le ultime novità. Per esempio pochi giorni fa l’ambasciatore americano in Italia ha espresso una valutazione positiva sul modo in cui il M5S ha utilizzato la piattaforma di partecipazione Meet Up che è stata concepita da una start up newyorkese. L’idea di prendere la politica nelle proprie mani da parte dei cittadini è una cosa che piace”.
Intervista di Michael Pontrelli